1.CITAZIONE
Una ampia descrizione della citta di Isola del Liri è riportata nel De legibus di Marco Tullio Cicerone.
In particolar modo Cicerone, nato in prossimità della confluenza del fiume Fibreno nel Liri, celebra la l'amenità di questo fiume e della sua terra natia.
La sua casa natale era proprio la villa su cui è edificata la Basilica di San Domenico Abate, e di cui vi è memoria in una lapide scolpita a futura memoria sulla parte sinistra della facciata esterna.
«I. [1] Attico: - Dal momento che già abbiamo passeggiato abbastanza e tu devi iniziare un altro discorso, vuoi che cambiamo posto e nell'isola che è nel Fibreno - credo sia questo il nome di quell'altro braccio del fiume - proseguiamo la conversazione, mettendoci a sedere ? Marco: - Certamente; molto volentieri infatti io mi fermo in quel posto, sia quando sono intento ad elaborare qualche progetto solo con me stesso, sia quando scrivo o leggo qualcosa. [2] Attico: - Quanto a me, che sono venuto qui proprio in questa stagione, non sono stanco di saziarmene, ed al confronto mi sembrano un nulla le magnificenze delle ville ed i pavimenti di marmo ed i soffitti a cassettoni ... ... Chi non sorriderebbe soddisfatto dopo aver visto questo paesaggio? Come tu poco fa discutendo di legge e di diritto riconducevi tutto alla natura, così anche in queste cose, che sono apprezzate per la distensione e la gioia dell'animo, quella che domina è la natura. Per questo io prima mi stupivo, pensando che in questi luoghi non vi fossero altro che rocce e montagne, ed a ciò mi spingevano le tue orazioni ed i tuoi versi. Mi stupivo, come ho detto, che tu provassi tanto godimento in questi luoghi; ora invece mi stupisco che durante le tue assenze da Roma tu possa stare in qualche altra località. [3] Marco: - Ma io, quando posso assentarmi per parecchi giorni, specialmente in questa stagione, vengo sempre a cercare l'amenità e la salubrità di questi posti, e purtroppo ciò mi è consentito molto raramente. Comunque mi dà motivo di allegria un'altra ragione ancora, che non ti riguarda da vicino, Tito. Attico: - E qual è mai questa ragione? Marco: - A dire il vero, questa è la patria comune mia e di mio fratello; infatti noi qui discendiamo da un antichissimo ceppo, sono qui le tradizioni religiose, qui la stirpe, qui molte tracce dei nostri antenati. Cos'altro? Ebbene, guarda questa villa, così com'è adesso, ristrutturata più riccamente per l'interessamento di nostro padre, ìl quale, a causa della salute malferma, qui trascorse quasi tutta la sua vita nelle occupazioni letterarie. Sappi che io sono nato proprio qui, quando era ancora in vita mio nonno e la villa era piuttosto piccola, secondo l'usanza antica, come quella di Curio in Sabina. Per questo c'è, nascosto nel profondo del mio animo e dei miei sentimenti, qualcosa di indefinibile, per cui questo luogo mi è ancora più caro, se è vero che anche quel famoso eroe molto saggio, per rivedere Itaca, è scritto che abbia rinunziato all'immortalità.»
«II. [4] Attico: - Noi infatti, non so perché, siamo commossi da quei luoghi, i quali conservano le tracce di coloro che amiamo o ammiriamo... Perciò d'ora in poi amerò ancora di più questo luogo dove sei nato. Marco: - Sono lieto di averti mostrato quella che è quasi la mia culla.»
Una ampia descrizione della citta di Isola del Liri è riportata nel De legibus di Marco Tullio Cicerone.
In particolar modo Cicerone, nato in prossimità della confluenza del fiume Fibreno nel Liri, celebra la l'amenità di questo fiume e della sua terra natia.
La sua casa natale era proprio la villa su cui è edificata la Basilica di San Domenico Abate, e di cui vi è memoria in una lapide scolpita a futura memoria sulla parte sinistra della facciata esterna.
«I. [1] Attico: - Dal momento che già abbiamo passeggiato abbastanza e tu devi iniziare un altro discorso, vuoi che cambiamo posto e nell'isola che è nel Fibreno - credo sia questo il nome di quell'altro braccio del fiume - proseguiamo la conversazione, mettendoci a sedere ? Marco: - Certamente; molto volentieri infatti io mi fermo in quel posto, sia quando sono intento ad elaborare qualche progetto solo con me stesso, sia quando scrivo o leggo qualcosa. [2] Attico: - Quanto a me, che sono venuto qui proprio in questa stagione, non sono stanco di saziarmene, ed al confronto mi sembrano un nulla le magnificenze delle ville ed i pavimenti di marmo ed i soffitti a cassettoni ... ... Chi non sorriderebbe soddisfatto dopo aver visto questo paesaggio? Come tu poco fa discutendo di legge e di diritto riconducevi tutto alla natura, così anche in queste cose, che sono apprezzate per la distensione e la gioia dell'animo, quella che domina è la natura. Per questo io prima mi stupivo, pensando che in questi luoghi non vi fossero altro che rocce e montagne, ed a ciò mi spingevano le tue orazioni ed i tuoi versi. Mi stupivo, come ho detto, che tu provassi tanto godimento in questi luoghi; ora invece mi stupisco che durante le tue assenze da Roma tu possa stare in qualche altra località. [3] Marco: - Ma io, quando posso assentarmi per parecchi giorni, specialmente in questa stagione, vengo sempre a cercare l'amenità e la salubrità di questi posti, e purtroppo ciò mi è consentito molto raramente. Comunque mi dà motivo di allegria un'altra ragione ancora, che non ti riguarda da vicino, Tito. Attico: - E qual è mai questa ragione? Marco: - A dire il vero, questa è la patria comune mia e di mio fratello; infatti noi qui discendiamo da un antichissimo ceppo, sono qui le tradizioni religiose, qui la stirpe, qui molte tracce dei nostri antenati. Cos'altro? Ebbene, guarda questa villa, così com'è adesso, ristrutturata più riccamente per l'interessamento di nostro padre, ìl quale, a causa della salute malferma, qui trascorse quasi tutta la sua vita nelle occupazioni letterarie. Sappi che io sono nato proprio qui, quando era ancora in vita mio nonno e la villa era piuttosto piccola, secondo l'usanza antica, come quella di Curio in Sabina. Per questo c'è, nascosto nel profondo del mio animo e dei miei sentimenti, qualcosa di indefinibile, per cui questo luogo mi è ancora più caro, se è vero che anche quel famoso eroe molto saggio, per rivedere Itaca, è scritto che abbia rinunziato all'immortalità.»
«II. [4] Attico: - Noi infatti, non so perché, siamo commossi da quei luoghi, i quali conservano le tracce di coloro che amiamo o ammiriamo... Perciò d'ora in poi amerò ancora di più questo luogo dove sei nato. Marco: - Sono lieto di averti mostrato quella che è quasi la mia culla.»
«III. [6] Attico: - Ma siamo arrivati all'isola. Davvero nulla vi potrebbe essere di più ameno. Infatti il Fibreno è tagliato quasi come da un rostro e, diviso in due rami eguali, lambisce questi fianchi e scorrendo velocemente in un attimo confluisce in un unico braccio, abbracciando tanto di quel terreno che sarebbe sufficiente per una palestra di medie dimensioni. Subito dopo, come se questo fosse suo compito e dovere, di costruirci cioè un posto per la nostra discussione, si getta nel Liri, e, quasi come se fosse entrato in una famiglia patrizia, abbandona il suo nome piuttosto oscuro, e rende il Liri molto più fresco. Infatti io non ho mai toccato acqua più fresca di questa, pur avendone provate molte, al punto che a mala pena posso provarla col piede, come fa Socrate nel Fedro di Platone.» Marco Tullio Cicerone, ''De legibus'', : 52 a.C, leg. 2,1-7
2. CITAZIONE
Il fiume liri viene menzionato per due volte anche da Dante Alighieri nella
Divina Commedia, definendolo il fiume Verde.
La prima, nel Canto III del Purgatorio, durante il dialogo fra Dante e
Manfredi di Svezia che esprime il desiderio di rivelare a sua figlia il suo stato ultraterreno. Egli infatti si pentiì dopo essere stato colpito a morte e la grazia divina lo perdonò, tuttavia il vescovo ignaro della sua redenzione ordino di trasportare il suo corpo 'a lume spento' lungo il fiume Liri. Di seguito è riportato il brano: Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,
l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento, sotto la guardia de la grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde, dov’e’ le trasmutò a lume spento.
(Purgatorio, III, 124-132)
La seconda menzione si ha, invece, nel Canto VIII del Paradiso, quando
Carlo Martello, si presenta avvolto completamente di luce, come il signore
atteso nella terra di Provenza, solcata dai fiumi Rodano e Sorga, e in Italia
meridionale, dove sorgono le citta di Bari, Gaeta e Catona e dove scorrono
i fiumi Tronto e Liri. Ecco il brano:
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